6.1.18

Sacchetti ultraleggeri per alimenti, un po' di chiarezza


L'anno nuovo si è aperto con una polemica sui sacchetti ultraleggeri per gli alimenti a pagamento. Nell'affrontare l'argomento è però importante partire da quanto il tema dell'invasione di plastiche sia centrale sia a livello mondiale, sia su scale regionali più limitate.
L’articolo 9-bis della legge di conversione 123/2017 prevede che “il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite”. Si tratta di una spesa di massimo 15 euro all’anno per le famiglie, considerato il costo medio di un sacchetto dell’ortofrutta, le 139 spese effettuate ogni anno di media (fonte: Gfk-Eurisko 2017) e il fatto che ogni spesa comporti l'utilizzo di almeno tre sacchetti per frutta e verdura.
Il fatto che i sacchetti di plastica per l’ortofrutta fossero gratuiti non significa che questi non fossero pagati dal consumatore attraverso la definizione del prezzo del prodotto che i sacchetti devono contenere. Si tratta dunque di un costo già comunque a carico del consumatore, inserito in maniera occulta nel totale del prodotto. L’obiettivo è quello della responsabilizzazione del consumatore.
A differenza del precedente, il nuovo bioshopper è riutilizzabile come sacchetto per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti domestici. Dunque l’operazione potrebbe rivelarsi vantaggiosa, laddove attualmente molte famiglie pagano i sacchetti per la raccolta dell’umido da 5 a 15 centesimi.
Molto dev’essere fatto dalla Grande Distribuzione che deve provvedere ad esempio a favorire questo tipo di riutilizzo dei sacchetti dell’ortofrutta o la creazione di sporte riutilizzabili, prevedendo ad esempio etichettature biodegradabili e compostabili. Utilizzare la gran parte delle etichette attuali sui nuovi bioshopper vuol dire infatti renderli non più utilizzabili per la raccolta dell’umido a livello domestico, anche perché toglierle provoca la lacerazione del sacchetto.
La produzione di bioplastiche costituisce un importantissimo contributo alla soluzione dei danni prodotti dalle plastiche. E peraltro rappresenta un’eccellenza italiana, frutto di innovazione, ricerca e sviluppo tecnologico di cui dobbiamo essere fieri.
Donatella Bianchi, Presidente WWF Italia, sottolinea l'enorme impatto della plastica sugli ecosistemi: "Si tratta di uno dei materiali che impiega più tempo a degradarsi: un sacchetto di plastica, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, resta nell'ambiente da un minimo di 15 anni a un massimo di 1000 anni. È un paradosso utilizzare il materiale come la plastica, nato per durare nei secoli, per la creazione di oggetti “usa e getta”, dal ciclo vitale assai breve. Gli impatti più negativi di un uso e uno smaltimento sconsiderati della plastica si ripercuotono sull’ambiente marino: nei mari del Pianeta navigano 150 milioni di tonnellate di materie plastiche, ogni anno se ne aggiungono 8 milioni cosicché la plastica arriva a rappresentare il 95% dei rifiuti marini. Il Mar Mediterraneo non fa eccezione: sono 1,25 milioni di frammenti di plastica per chilometro quadrato contro i 335 mila del Pacifico".
Sono oltre 700 le specie marine che a livello globale sono minacciate dai rifiuti plastici (per intrappolamento o ingestione), di cui 90 solo nel Mediterraneo (fonte: UNEP): nel Mare Nostrum l'80% delle tartarughe marine presenta plastica nello stomaco, in alcuni esemplari si arriva fino a 150 pezzi plastici e, come ha dimostrato un recente studio del WWF, nei tessuti dei cetacei che nuotano liberi nelle acque del Santuario Pelagos sono state trovate elevate tracce di ftalati, un additivo delle materie plastiche.
E uno dei manufatti di plastica più dannoso per l’ambiente è proprio il sacchetto monouso, spesso abbandonato incautamente finendo per inquinare mari, laghi e fiumi. Nel 2017 Orb Media ha pubblicato il primo lavoro che provava l’esistenza di una contaminazione da plastica nell’acqua potabile di tutto il mondo: il 72% dei campioni raccolti nelle varie città dell’Europa è risultato inquinato dalla presenza di fibre di plastica.
E siamo di fronte ad una vera e propria invasione: ogni anno nel mondo si utilizzano circa 1000 miliardi di sacchetti di plastica monouso, quasi 2 milioni ogni minuto (fonte: Earth Policy Institute).
La sostituzione dei sacchetti per alimenti porterà una riduzione di circa 10 miliardi di sacchetti in plastica monouso solo in Italia (fonte: Assobioplastiche).
Zero Waste Italy ha evidenziato come la disposizione sui sacchetti ultraleggeri costituisca una estensione delle previsioni già a suo tempo adottate, e con successo, per gli shopper.
La volontà di superare l’uso della plastica tradizionale nei sacchetti ultraleggeri per asporto dei generi alimentari è pertanto condivisa e va nella direzione di mettere anche in questo caso (come nel caso degli shopper, in cui l’iniziativa italiana ha poi stimolato l’adozione di disposizioni analoghe da altri Paesi e della Direttiva europea in merito) l’Italia alla testa di un fronte di eliminazione progressiva delle buste in plastica.
Nell’ambito di questa strategia è quindi giusto rendere evidente il prezzo dell’ultraleggero, cosi come già nel caso degli shopper, proprio per disincentivarne il prelievo, ma è evidente che una strategia di disincentivazione deve mettere a disposizione l'alternativa, che sia ambientalmente preferibile e dunque economicamente incentivata: anche in questo caso, l’alternativa è la borsa (“sporta”) riutilizzabile. Una alternativa pratica, conveniente, sostenibile, rispettosa della gerarchia del riuso come opzione preferibile e immediatamente adottabile, almeno nel caso di quei generi alimentari (come è il caso in genere per l’ortofrutta) che non creano, a differenza di carni, pesci e prodotti caseari molli, problemi di imbrattamento e sgocciolamento.
È qui che è intervenuto l’errore commesso dal Ministero dell'Ambiente, ossia la lettera alla Grande Distribuzione (GDO) in cui si dichiara che le borse riutilizzabili non possono essere impiegate, divieto di cui peraltro nella Legge non vi è traccia. Evidenzia sempre Zero Waste Italy come, inevitabilmente, questo errore, oltre a determinare un allontanamento dalle finalità stesse della norma, ha fatto avvertire l’uso del sacchetto biodegradabile come imposizione e balzello, distorcendo il dibattito e deviandolo dal merito ambientale della strategia (superamento della plastica tradizionale) a quello economico: l’imposizione del prezzo esplicito del sacchetto, che doveva funzionare da incentivo all’adozione dell'alternativa ambientalmente preferibile, nel momento in cui viene impedita tale alternativa, è stato percepito come una vessazione.
Appaiono del resto irricevibili le motivazioni di carattere sanitario addotte in varie occasioni sia dal Ministero dell'Ambiente che da quello della Salute, se solo si pensa a tutta la filiera di produzione, raccolta, trasporto, distribuzione della ortofrutta: una filiera in cui non è certo il prelievo finale dallo scaffale il momento più delicato. Né possono essere additati come irresponsabili tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea (Paesi certo non meno attenti del nostro ai temi della sicurezza alimentare) in cui le borse riutilizzabili sono consentite e promosse.
Il Ministero dell'Ambiente deve quindi fare chiarezza e insieme agli altri soggetti interessati sviluppare una campagna di informazione sul destino preferenziale dei sacchetti ultraleggeri, laddove acquistati dal consumatore al posto della borsa riutilizzabile. Tale campagna dovrebbe superare molta della confusione nel dibattito in corso e andrebbe focalizzata su comportamenti virtuosi (es. apposizione delle etichette adesive sui manici, onde poterle asportare senza danno al resto del sacchetto) finalizzati a fare reimpiegare successivamente i sacchetti per la raccolta differenziata dell’organico.
Alla luce della continua crescita dei consumi e dell'impatto che questi hanno sul Pianeta, il WWF ribadisce il consiglio di sempre: puntare ad una riduzione dello spreco di risorse naturali, limitando l’approccio “usa e getta” e valorizzando quello “usa e riusa”. Ogni oggetto, anche se biodegradabile e compostabile, viene prodotto utilizzando materie prime, energia e acqua. Solo l’uso nel tempo può veramente ridurre e ammortizzare il suo costo ambientale.